La Casa di Dio
Brevi considerazioni su divorzio e risposalizio nel Nuovo Testamento
Francesco De Lucia
Secondo la Sacra Scrittura, un matrimonio è costituito da due elementi: 1) un voto, fatto da un uomo e una donna alla presenza di testimoni, di fedeltà per la vita, 2) seguito da un’unione sessuale tra i medesimi. Voto ed unione tra un uomo e una donna: niente di meno e nient’altro che questo perché agli occhi di Dio si abbia avuto matrimonio. Una volta che un uomo ed una donna siano entrati in questa relazione matrimoniale in tal modo, i due devono considerare e credere che Dio Stesso li ha uniti, che essi sono divenuti ai Suoi occhi una sola carne e che quell’unità è permanente ed indissolubile agli occhi di Dio finché Dio Stesso non li separi facendo Egli intervenire a questo fine la morte fisica di uno degli sposi. Questa indissolubilità dell’unione matrimoniale è insita nel disegno stesso del matrimonio fin dalla sua creazione in Genesi ed è intesa da Dio come una rappresentazione dell’indissolubilità dell’unità che vi è tra Cristo e la Sua chiesa (cf. Mt. 19:3-6; Ef. 5:22-32; I Cor. 6:17).
Detto questo, siamo nella posizione di poter capire il motivo per cui il divorzio, secondo il Nuovo Testamento, è fuori discussione:
Egli disse loro: «Chiunque manda via sua moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e se la moglie ripudia suo marito e ne sposa un altro, commette adulterio» (Marco 10:11-12).
Chiunque manda via la moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio; e chiunque sposa una donna mandata via dal marito, commette adulterio (Luca 16:18).
Infatti, la donna sposata è legata per legge al marito mentre egli vive; ma se il marito muore, è sciolta dalla legge che la lega al marito. Perciò, se lei diventa moglie di un altro uomo mentre il marito vive, sarà chiamata adultera; ma se il marito muore, ella è libera da quella legge; così non è adultera se diventa moglie di un altro uomo (Romani 7:2-3).
La moglie è vincolata per tutto il tempo che vive suo marito; ma, se il marito muore, ella è libera di sposarsi con chi vuole, purché lo faccia nel Signore (I Cor. 7:39).
Alcuni però hanno affermato che in Matteo 19:9 e I Corinzi 7:15 abbiamo due eccezioni alla permanenza a vita del matrimonio. Secondo loro, il divorzio e il susseguente risposalizio sarebbero permessi per adulterio da parte di uno dei due (Mt. 19:9) o per diserzione da parte del non credente nella coppia (I Cor. 7:15). Tuttavia, questa opinione va riconosciuta come erronea. In questo articolo cerco di dimostrare nella maniera più chiara possibile che è davvero così.
Come ben noto, Matteo è un Vangelo scritto specificamente agli Ebrei. Nel contesto peculiare di un matrimonio giudaico nel primo secolo, un “matrimonio” era già tale anche solo dopo un voto di fedeltà precedente all’unione sessuale, e questo anche per un periodo piuttosto esteso di tempo (poteva intercorrere un anno tra il voto e il venire a stare insieme). L’equivalente nostro oggi sarebbe quello di una promessa di matrimonio prima che vi sia la consumazione dello stesso. I promessi sposi, o se vogliamo i “fidanzati ufficiali”, erano già visti e trattati come sposati nella cultura giudaica antica. Questa non è una considerazione dotta e oscura da andarsi a cercare al di fuori delle Scritture: ne vediamo chiaro esempio nella vicenda di Giuseppe e Maria al capitolo 1 nello stesso Vangelo di Matteo. Giuseppe è chiamato dal testo ispirato “marito” di Maria, detta a sua volta sua “moglie” anche “prima che la conoscesse” (cf. Mt. 1:20-25). Siccome Maria si era trovata con bambino prima di venire a stare insieme, egli si propose di lasciarla in quanto all'inizio non sapeva che fosse per l'opera dello Spirito di Dio. Dal punto di vista di Giuseppe, in questo caso, benché sposati, il divorzio era permesso e legittimo. Niente nel testo contraddice il detto che Giuseppe fosse “uomo giusto” benché intendesse divorziare Maria.
Era di questo caso particolare che lo Spirito parla successivamente nel testo di Matteo (19:9) quando parla di “fornicazione”, e lo fa usando la parola porneia. A questo punto è cruciale notare che la parola porneia, "fornicazione", in Matteo non è usata col significato esatto di “adulterio” nel senso di adulterio in una coppia unita da voto più unione sessuale. Ciò è chiaro dal fatto che nel contesto stesso di Matteo essa è giustapposta alla parola moicheia, specificamente appunto “adulterio”, in Matteo 15:19: “Poiché dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri [μοιχεῖαι], fornicazioni [πορνεῖαι], furti, false testimonianze, diffamazioni”. Con porneia, dunque, Matteo non intende “adulterio” (che egli chiama moicheia) ma un peccato che se messo in una lista insieme a “adulterio” è un peccato giustapponibile e distinguibile da esso. Specificamente, Matteo 19:9 usando porneia intende un peccato di infedeltà sessuale nel contesto di un avvenuto fidanzamento ufficiale tra due promessi sposi (un’unione maritale giudaica) commesso nel periodo che intercorre tra il voto/promessa e l’unione sessuale tra i due, proprio come nel caso di Giuseppe e Maria. Alla luce di queste chiare considerazioni contestuali al Vangelo di Matteo, non è difficile riconoscere che la cosiddetta “clausola eccettuativa” si riferisce a questo caso specifico. Ed è solo in questo caso specifico che il divorzio è permesso dal Signore (in Matteo 19:9).
In questa luce si vede meglio anche la reazione sorpresa dei discepoli: il Signore sta restringendo ad un solo caso molto specifico il permesso del divorzio rispetto alla concessione mosaica del divorzio sotto l’antico patto (Deut. 24) che regolava il divorzio molto più permissivamente, e questo, come afferma il Signore, a motivo dell’irrigenerazione del cuore della maggior parte degli Israeliti nell’Antico Patto (cf. Mt. 19:8). Il Nuovo Patto, come noto dai profeti, porta con sé la promessa di grazia e la realtà miracolosa di un cuore nuovo che obbedisce al Signore. Solo a chi quel cuore è dato è possibile quell’obbedienza ingiunta dal Signore sotto il Nuovo Patto, come Egli chiaramente afferma a conclusione del discorso sul divorzio (“solo a chi è dato”, solo a “chi è capace”, cf. Mt. 19:11-12).
Nei paralleli sul divorzio negli altri Vangeli, scritti a non-Ebrei, la specifica clausola eccettuativa di Mt. 19:9 (“eccetto che per fornicazione”) non viene nemmeno menzionata e si capisce prontamente: nei matrimoni tra i non-Ebrei la consumazione della promessa matrimoniale arrivava subito dopo la promessa o voto, e quindi non vi era bisogno di specificare un caso che non rientrava nella forma culturale della celebrazione matrimoniale gentile. Una volta che si verificasse voto ed unione, e nel caso gentile queste due cose avvenivano (e avvengono ancor’oggi) pressocché congiuntamente, il divorzio secondo il Signore non è nemmeno in vista, per nessuna ragione, come evidente dal testo di Marco e da quello di Luca e dai testi paolini in Romani e I Corinzi. Solo se si avesse infedeltà sessuale tra il voto e l’unione, come nel caso giudaico, il divorzio sarebbe permesso (anche se non comandato). Credo che le evidenze testuali e contestuali siano molto chiare.
Veniamo ora ad I Corinzi 7:15, il solo altro testo biblico neotestamentario che nella storia è stato visto da alcuni come possibile eccezione alla permanenza a vita del matrimonio. Il testo sta dicendo che nel caso che il non credente si separa e se ne vada dal credente a motivo della sua fede, il credente in quel caso non è “schiavizzato”. Alcune traduzioni dicono “vincolato”, e qui errando, perché nell’originale la parola non vuol dire “vincolato” (che sarebbe deo, usata in I Cor. 7:39: “la moglie è vincolata al marito per tutto il tempo che egli vive”), ma è più specifica e vuol dire “schiavizzato” (la parola douloo, diversa da deo che vuol dire “vincolato”). Altre traduzioni catturano questo significato distinto della parola douloo, dicendo “non è soggetto a servitù”, o “non è obbligato a stare insieme”. Che questo sia il significato del verbo originale è confermato da quanto detto nella clausola successiva che inizia con la congiunzione disgiuntiva “ma”, e spiega quanto detto prima mediante la clausola “ma Dio ci ha chiamato a vivere in pace”. Questa clausola deve aiutare a definire il senso dell’altra clausola a cui è messa in contrasto: “in questo caso il credente non è schiavizzato”. “Vivere in pace” non è il contrario di “essere vincolato in matrimonio” ma piuttosto di “vivere in conflitto nel matrimonio”. “Pace” è ciò a cui il credente è chiamato, e questa pace sarebbe pregiudicata se, considerandosi schiavizzato, incatenato a stare fisicamente col non credente che non vuole più permanere in quella relazione, si verrebbe così a verificare una coabitazione conflittuale. Il senso di quanto si sta dicendo quindi è: “nel caso il non credente non voglia più vivere insieme al credente a motivo della sua fede, il credente non deve considerarsi forzato a stare fisicamente insieme al non credente, non è incatenato a lui e forzato a farlo rimanere o a seguirlo così da provocare una condizione di convivenza forzata e conflittuale, ma lo lasci andare e viva così in pace”.
Al verso 15 l’apostolo non sta quindi parlando affatto del punto della permissibilità del divorzio, ma sta dicendo di non forzare una coabitazione conflittuale, di lasciare andare il non credente, e così vivere in pace. Di passaggio, si rifletta che la possibilità che il credente si consideri schiavizzato a stare insieme al non credente a qualsiasi costo è dovuta proprio al fatto che l’apostolo aveva detto, pochi versi prima (vv. 10-11), che il divorzio non è permesso in nessun caso, confermando quanto detto dal Signore nei Vangeli e dal medesimo apostolo in Romani 7:2-3. Specificamente, in I Corinzi 7:10-11 l’apostolo afferma che quanto dice qui è quanto aveva già affermato il Signore (nei Vangeli), ovvero che nel caso avvenga una separazione (il cui motivo non viene specificato, ma che si presume possa avvenire per motivi di forza maggiore, come violenza domestica o simili) il Signore ordina che si rimanga senza risposarsi o che ci si riconcili col proprio sposo. Abbiamo quindi qui un commentario ispirato a quanto aveva affermato il Signore a riguardo del divorzio (“non io ma il Signore”) ed è una posizione “no divorzio-no risposalizio” per qualsiasi motivo (che non viene specificato) e nei termini più semplici e chiari possibili. Questa posizione è definitivamente confermata quando alla fine dello stesso discorso l’apostolo ribadisce lo stesso concetto con parole diverse, riassumendo il tutto in modo da non lasciare equivoci: “La moglie è vincolata per tutto il tempo che vive suo marito; ma, se il marito muore, ella è libera di sposarsi con chi vuole, purché lo faccia nel Signore” (I Cor. 7:39, cf. Rom. 7:2-3).
L’opinione che vede Matteo 19:9 e I Corinzi 7:15 come due eccezioni alla permanenza del matrimonio va dunque rivista alla luce di queste chiare evidenze testuali e contestuali e va abbandonata come erronea per aderire al chiaro insegnamento del Signore confermato dal Suo apostolo. “L’uomo non separi quel che Dio ha unito”! “Chi lo può accettare, lo accetti”!
Che deve fare, dunque, chi per un motivo o per l’altro si ritrova in una relazione di seconde nozze? A questo punto torna utile l’episodio della Samaritana in Giovanni 4:16-18: “Egli le disse: «Va' a chiamare tuo marito e vieni qua». La donna gli rispose: «Non ho marito». E Gesù: «Hai detto bene: "Non ho marito"; perché hai avuto cinque mariti; e quello che hai ora, non è tuo marito; ciò che hai detto è vero».” Da questo episodio capiamo che l’uomo con cui si relazionava la Samaritana nel momento in cui parlava col Signore non era suo marito. Ma il Signore chiama gli altri uomini “mariti”. Va ammesso che non conosciamo il perché di cinque mariti: erano morti tutti i precedenti volta per volta? Si era divorziata e risposata varie volte? Niente può essere escluso. Si noti però che le relazioni precedenti sono semplicemente menzionate dal Signore senza commento. Non vengono esplicitamente condannate, ma nemmeno approvate. Egli non dice alla donna di ritornare a nessuno dei mariti precedenti, che per quanto ne sappiamo potevano essere ancora in vita, e poi sottintende che la relazione in cui si trovava al momento era sbagliata perché non era una relazione di matrimonio. Alla luce del Suo ordinamento sul divorzio che espone nei Vangeli, sappiamo che chi ha divorziato e si è risposato sta vivendo in una situazione di adulterio. Ma da questo passaggio in Giovanni possiamo legittimamente presumere che il Signore non chiamerebbe le parti in una coppia (peccaminosamente) risposata a ritornare a precedenti partner, benché la nuova coppia si trovi in una condizione di adulterio. Il divorzio passato e le nuove nozze sarebbero quindi condannati, ma la nuova relazione non sarebbe ulteriormente interrotta, ma regolata dopo il fatto. In tal frangente, ai avrebbe quindi continuità con l’approccio che in questi casi Dio ordinava sotto l’Antico Patto, non permettendo che un primo matrimonio interrotto da divorzio potesse ricostituirsi nemmeno dopo la morte di una parte nelle seconde nozze (cf. Deut. 24:1-4).
Se da un lato va ammesso che queste considerazioni non ci forniscono una risposta inequivoca su come procedere praticamente nel caso di una coppia già risposata sotto il Nuovo Patto, esse ci suggeriscono sicuramente quanto segue. Primo, una coppia cristiana ma risposata dovrebbe riconoscere che alla luce dell’insegnamento del Signore nel Nuovo Testamento le loro nuove nozze rappresentano un peccato di adulterio dinanzi a Dio. Secondo, essi dovrebbero rammaricarsi del peccato che hanno commesso nel divorziare e risposarsi, e chiedere perdono al Signore. Terzo, essi dovrebbero considerarsi responsabili di non dover mai più pensare ad un ulteriore divorzio e risposalizio alla luce della loro nuova coscienza informata dalla Verità sul divorzio nel Nuovo Patto. Quarto, essi devono sapere che in caso vogliano ignorare questa realtà e procedere ad un secondo divorzio e risposalizio, verranno disciplinati mediante l’esclusione dalla chiesa finché non emendino le loro vie e si riconcilino l’uno all’altra.